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Due importanti lemmi linguistici coniugati a costituire una sembianza al contempo astratta e concreta costituiscono il titolo integrale della nuova silloge poetica di Katia Debora Melis, Figli di terracotta. Da una parte i "figli" richiamano quella corporeità di immagini legata al senso concreto dell'esistenza e di un vissuto che si tramanda nel corso delle generazioni mediante l'atto riproduttivo (una sorta di palingenesi continua dell'umanità), dall'altra, la "terracotta" quale materiale che esiste non in quanto naturale (come può esserlo la roccia lavica o lo zolfo) ma quale prodotto di lavorazione dell'uomo ci introduce immancabilmente a un universo plastico caratterizzato per la fragilità della materia, per la connaturata finezza dello stesso soggetta a un deterioro e che necessita, dunque, di una maneggiabilità attenta, se non addirittura severa e rigorosa.